Grazie alla spinta di uno dei movimenti studenteschi storicamente più rilevanti a cui si sia assistito da decenni a questa parte, la richiesta per il definanziamento delle istituzioni israeliane complici del mantenimento dell’apartheid non è mai stata così forte. Negli ultimi vent’anni, il movimento Boycott, Divestment and Sanctions (BDS: Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) – ispirato a un analogo movimento internazionale contro l’apartheid sudafricano e guidato da organizzatori e organizzatrici palestinesi – è stato in prima linea nelle proteste per il definanziamento delle istituzioni israeliane1. Nel 2004, un cospicuo numero di organizzazioni palestinesi, associazioni di professione, gruppi di attivismo per i diritti umani e attiviste/i locali hanno concorso a creare un ampio movimento di boicottaggio che prendesse di mira le istituzioni israeliane e le multinazionali che traevano profitto dagli insediamenti coloniali in Palestina.

Nel Nord del mondo, la narrazione giornalistica dominante presenta il BDS come un movimento estremamente radicale e marginale rispetto al discorso pubblico2. I politici sionisti si adoperano spesso per costruire accuse di contiguità che suggeriscono l’esistenza di legami tra il movimento BDS e altri gruppi della resistenza palestinese già etichettati dai media occidentali come terroristici, militanti o sovversivi. Non fa eccezione l’Academic and Cultural Boycott, una componente del movimento BDS che richiede a esponenti del mondo accademico, della ricerca e dell’arte di non collaborare con istituzioni culturali – ad es. le università – che sostengono il regime di apartheid sionista3. Nel contesto delle organizzazioni palestinesi, tuttavia, il movimento BDS viene senz’altro considerato mainstream4. Tra gli attori politici che lottano per la liberazione sia in Palestina che nella diaspora, il BDS non è considerato che il minimo indispensabile da cui partire.

Una scienza militante

Cosa può significare, per noi scienziate e scienziati, impegnarsi in una pratica scientifica di autentica rivolta in favore della Palestina? Cosa comporta? Come possiamo posizionarci in maniera tale che il BDS diventi per noi ciò che già rappresenta per le/i palestinesi impegnate/i nella lotta per la propria liberazione – ossia, appunto, il minimo indispensabile? Comincerò prospettando alcuni passi che scienziate e scienziati possono cominciare a muovere fin da subito all’interno del proprio ambiente. Come membro del collettivo Just Mathematics, attingerò alla mia esperienza relativa a una campagna di boicottaggio accademico di massa, che vi invito a sostenere.

Passo 1: Aderire pubblicamente al movimento BDS e attivarsi nelle proprie reti di contatti

Molte scienziate e molti scienziati che ho invitato a unirsi alla nostra campagna mi hanno detto di aver già da anni aderito all’appello al boicottaggio accademico in modo tacito, per esempio non presenziando a eventi accademici organizzati da istituzioni israeliane, non inviando paper di ricerca a riviste pubblicate da università israeliane o non scrivendo lettere di referenze per impieghi presso quelle università. Queste persone spesso mi chiedono cosa ci sia da guadagnare nell’annunciare pubblicamente il proprio sostegno al boicottaggio. La risposta è semplice: esprimere sostegno al boicottaggio accademico contribuisce a normalizzarlo. Le colleghe e i colleghi devono capire che il vento sta cambiando, e noi dobbiamo ambire a creare un ambiente accademico in cui forzare il picchetto di un’azione BDS diventi una mossa politicamente rischiosa; a questo si può arrivare solo annunciando pubblicamente la propria partecipazione e il proprio sostegno al movimento.

L’obiettivo di un(’)attivista in ambito scientifico dovrebbe essere quello di mettere colleghe e colleghi nella condizione di potersi unire a noi. Nel collettivo Just Mathematics si riserva molta attenzione a questo aspetto; ad esempio, la nostra campagna BDS è progettata per ridurre al minimo le barriere di ingresso per altre/i scienziate/i. Noi, ad esempio, non rendiamo pubblici i nomi dei nostri firmatari, limitandoci piuttosto a tenere un conteggio aggiornato di coloro che partecipano; dopo tutto, la logica del boicottaggio come strategia politica fa affidamento sulla forza collettiva. Ci siamo organizzate/i organizziamo in questo modo per proteggerci da un’insidia molto comune: ciò che nasce come un piccolo gruppo di persone appassionate che danno voce al loro supporto per una determinata causa può talvolta tradursi in un culto della personalità. Nel cercare di ispirare e avvicinare più persone, un(‘)attivista fa affidamento sul proprio carisma personale e sulla propria motivazione politica. Nel contesto accademico ciò può prendere la forma di una sovversione intenzionale delle norme professionali, per esempio quando si solleva l’argomento BDS nelle discussioni o quando si organizzano panel su questo tema all’interno di convegni che tradizionalmente si concentrano in modo esclusivo sulla scienza di base. Sebbene io inviti scienziate e scienziati a fare tutte queste cose, ciò può risultare controproducente se a chi vorrebbe supportarci non si rende allo stesso tempo chiaro che, per sostenere il movimento BDS, non è necessario fare tutto quello che facciamo noi.

Vale la pena citare alcuni argomenti che si sono mostrati efficaci nel discutere del movimento BDS con altre/i scienziate/i. È fondamentale che riusciamo comunicare i principi di base del BDS in maniera tale da prevenire le più comuni e fuorvianti critiche che vengono mosse in malafede, in particolare quella secondo cui il movimento BDS si concentrerebbe indebitamente sull’entità sionista. Prendiamo ad esempio il solito ritornello sionista secondo cui il movimento BDS non può che essere animato da antisemitismo, perché altrimenti le persone inviterebbero ad esempio a boicottare anche le istituzioni cinesi, considerato il ruolo del governo cinese nel genocidio degli Uiguri5. Da un punto di vista sia etico che strategico, può essere utile mettere a fuoco diversi aspetti caratteristici del genocidio in Palestina e del coinvolgimento delle università israeliane che non si applicano ad altri paesi, anche se i loro governi compiono crimini atroci che ne giustificherebbero il boicottaggio.

Innanzitutto, c’è la complicità delle università israeliane nella Nakba e nel genocidio dei/delle palestinesi6. Le commistioni tra i produttori israeliani di armi e le università israeliane sono così smaccate che parlare di “porta girevole” sarebbe un eufemismo7. Un gran numero di dipendenti di Elbit e di Rafael – i due massimi produttori di armi israeliani – è laureato alla Technion, la maggiore università politecnica israeliana8. La Technion ha conferito a uno dei più illustri presidenti della Elbit, Yossi Ackermann, un dottorato ad honorem, e l’ateneo ospita partnership ufficiali e molto lucrative con Elbit e Rafael9. Inoltre, le istituzioni scientifiche israeliane si fanno vanto di condurre gran parte della ricerca di base da cui deriva la tecnologia militare e di sorveglianza (tecnologia che viene poi sviluppata e messa sul mercato da aziende private israeliane)10. In secondo luogo, scienziate e scienziati possono avere un impatto concreto sulle cose. Un movimento politico ha la responsabilità di mostrare che le sue tattiche sono capaci di generare cambiamenti materiali. Chi mette in dubbio l’efficacia del boicottaggio accademico potrebbe controbattere che il boicottaggio accademico del Sudafrica ebbe una natura largamente simbolica11. D’altra parte, il Sudafrica non era noto nel mondo per le sue istituzioni accademiche. Lo stato sudafricano non fondava la sua reputazione internazionale sul prestigio delle proprie università; la sua era un’economia in gran parte agricola. Al contrario, l’economia israeliana dipende fortemente dall’esportazione di beni high-tech12. I sostenitori dello Stato di Israele lo presentano come un polo tecnologico – la cosiddetta “nazione start-up” – che si nutre della qualità delle sue istituzioni accademiche13. La sua salute economica complessiva fa grande affidamento sulla sua capacità di attrarre talenti scientifici che studino nelle sue università e producano nuove tecnologie nei suoi laboratori. Per tale ragione, un impegno ampio e internazionale nella campagna di boicottaggio ha la capacità di esercitare pressione sullo Stato di Israele con modalità che per gli/le scienziati/e in ambito accademico non erano praticabili nel caso dell’apartheid sudafricano. Terzo, è importante esprimere una solidarietà autentica ai gruppi oppressi. Ogni movimento la cui esistenza sia dichiaratamente votata a portare benefici a determinati gruppi di persone dovrebbe fare del proprio meglio per fare quanto indicato da quelle stesse persone. Ovviamente, nella pratica questo criterio può facilmente scivolare nel “tokenismo”: il solo fatto che esistano palestinesi che pensano che la comunità scientifica internazionale debba fare questa o quell’altra cosa non esclude che esistano palestinesi che pensano l’opposto. Detto ciò, questo criterio diventa significativo quando una coalizione straordinariamente larga di associazioni, società di professione, organizzazioni per i diritti umani e gruppi di resistenza tra gli oppressi si unisce per sostenere uno specifico movimento, come è avvenuto appunto per il boicottaggio accademico di Israele. Possiamo ora ritornare sull’esempio del genocidio degli Uiguri alla luce dei criteri considerati. In quel caso non risultano appelli pluridecennali al boicottaggio guidati e sostenuti da una stragrande maggioranza trasversale della società civile uigura, né in quel contesto è stato proposto alcun boicottaggio scientifico per ragioni strategiche (o quantomeno non su un arco di tempo pluridecennale né da parte di una trasversalità di organizzazioni politiche, ricercatori e ricercatrici e persone comuni).

Passo 2: Stringere rapporti con chi lotta per la Palestina in altri ambiti

Uno degli aspetti più incoraggianti dell’intifada studentesca è l’enfasi che viene posta sull’adesione a principi abolizionisti. Non è sufficiente limitarsi a disinvestire da aziende complici del mantenimento dell’apartheid in Palestina; dobbiamo definanziare i produttori di armi e le organizzazioni di sorveglianza a prescindere dal fatto che le loro connessioni con il genocidio palestinese siano messe nero su bianco su qualche foglio di bilancio istituzionale. Il movimento studentesco comprende bene il rapporto di interdipendenza che sussiste ad esempio tra la lotta per la liberazione palestinese e quella contro il campus di addestramento “Cop City” di Atlanta. Se prendiamo esempio da loro e adottiamo una visione d’insieme, ci accorgeremo di quante importanti opportunità di collaborazione abbiamo a disposizione.

Per fare un esempio, il collettivo Just Mathematics porta avanti una campagna che mira a tagliare i rapporti tra la professione matematica e l’Agenzia di Sicurezza Nazionale statunitense (NSA). Come parte di questa campagna, alcuni membri hanno organizzato azioni dirette contro gli eventi di reclutamento dell’NSA tenutisi durante grandi convegni di matematica14. La prima di queste azioni ha avuto luogo a Boston, nel gennaio 2023. Se alcune/i tra noi avevano esperienza nell’organizzare azioni dirette, molte/i altre/i invece non ce l’avevano; la maggior parte di noi, poi, non aveva familiarità con Boston né sapeva che tipo di reazione aspettarsi da parte della polizia. Fortunatamente abbiamo potuto entrare in contatto con la Muslim Justice League, un gruppo di comunità di Boston che lotta instancabilmente da anni per gli/le abitanti neri/e e razzializzati/e di Boston (e che negli ultimi mesi è stato straordinariamente attivo nel movimento contro il genocidio palestinese in quell’area). I membri della Muslim Justice League si sono mostrati entusiasti di collaborare con noi, dal momento che comprendevano l’importanza di lottare contro l’NSA per via del modo in cui essa controlla, sorveglia e criminalizza le comunità musulmane15. Ci hanno spiegato come muoverci e ci hanno aiutato a organizzare un’azione sul loro territorio. Noi, dal canto nostro, abbiamo facilitato loro l’accesso a uno spazio nel quale l’NSA era presente e completamente impreparata ad essere contestata.

Una scienza militante richiede che si stabilisca questo tipo di collaborazioni reciprocamente vantaggiose. Come ribadito nella sezione precedente, la grande attenzione che il movimento per una Palestina libera dedica alle grosse aziende tecnologiche comporta che scienziate e scienziati abbiano risorse importanti da offrire alle nostre compagne e ai nostri compagni che operano negli spazi di mobilitazione. Nel nostro caso, la Muslim Justice League non aveva bisogno di lezioni sul modo in cui la matematica viene messa al servizio dell’NSA nelle sue applicazioni crittografiche; ciò di cui aveva bisogno era semplicemente il nostro aiuto per accedere al convegno (oltre che per destreggiarsi tra le oscure norme sociali di uso in questi eventi). Allo stesso modo, potrebbe capitare che i contatti che noi abbiamo nei nostri ambienti universitari, oppure all’interno delle aziende tecnologiche complici del genocidio, facciano molto comodo ad altre/i attiviste/i locali. È solo prendendo parte alla lotta per la liberazione palestinese che possiamo capire quale sia il contributo che noi possiamo dare.

Passo 3: Mettere la scienza al servizio della Palestina

Il nostro prossimo compito è immaginare collettivamente modi in cui il nostro lavoro di studiose e studiosi può agevolare la lotta per la giustizia in Palestina. Lo scienziato o la scienziata militanti dovrebbe in particolare pensare a come legare il proprio lavoro a tattiche politiche che vadano oltre le modalità di impegno giudicate convenzionali dagli standard palestinesi, quale è appunto il BDS.

Il Mapping Project, ad esempio, è uno strumento web interattivo progettato da un collettivo anonimo che permette all’utente di evidenziare le varie connessioni tra le organizzazioni nell’area di Boston che supportano il sionismo, l’apartheid medica, la violenza poliziesca. Scopo del progetto è mostrare quanto queste forze siano tra loro interconnesse e fornire ai/alle militanti uno strumento per individuare dei pattern nella rete di collaborazioni tra polizia, titolari d’imprese, gestori di fondi speculativi e università nell’area di Boston. Com’era prevedibile, il progetto è stato screditato da molti media mainstream con modalità consuete per le azioni di solidarietà alla Palestina, ossia accusandolo di antisemitismo e persino di collaborazione con altri governi ostili agli interessi degli Stati Uniti16. In realtà, nel dataset venivano inclusi semplicemente enti che esprimevano supporto materiale nei confronti del sionismo; i sostenitori di Israele, però, hanno un interesse attivo nel confondere l’antisionismo con l’antisemitismo, e in questo caso sono riusciti con successo a trasmettere questa confusione a chi ha dato notizia del progetto.

Il tipo di dati raccolti dal Mapping Project è perfetto per uno studio elementare di analisi delle reti sociali (network analysis). Facendo uso di strumenti matematici che vengono normalmente insegnati in un corso di algebra lineare avanzata, un/a matematico/a può studiare la combinatoria di una rete e quantificare, utilizzando le cosiddette misure di centralità, quali siano i nodi “più centrali” all’interno della rete. Immaginiamo ad esempio che un gruppo locale di attivismo per la liberazione della Palestina voglia individuare un bersaglio per una campagna di disinvestimento: in teoria i membri del gruppo potrebbero usare questo tipo di strumento per determinare quale ente di Boston, se rimosso dal network delle istituzioni filosioniste, danneggerebbe la salute complessiva della rete in maniera più significativa.

Questo è precisamente il tipo di applicazioni che vengono esplorate in un saggio scritto da due dei nostri membri sfruttando lo strumento interattivo del Mapping Project17. Il saggio giunge a individuare la centralità relativa dell’università di Harvard all’interno della rete, per poi discutere svariati modi in cui gli organizzatori e le organizzatrici di una campagna studentesca per il disinvestimento potrebbero usare questa informazione a loro vantaggio, per esempio disinnescando il tentativo delle amministrazioni universitarie di minimizzare l’importanza dei propri investimenti e indebolire così le campagne di disinvestimento18. È importante tenere a mente le possibili conseguenze di una rivolta in ambito scientifico. Per esempio, nel 2017 Israele ha approvato una legge che conferisce allo stato il diritto di negare l’ingresso (sia in Palestina che in Israele) a chiunque abbia pubblicamente supportato il movimento BDS. Ciò renderà chiaramente più difficile a uno scienziato o a una scienziata militante partecipare a programmi di collaborazione scientifica che abbiano luogo in Palestina. Occorre poi tenere conto della rispettabilità; in quanto scienziate e scienziati, abbiamo un certo prestigio culturale a cui in parte rinunciamo quando scegliamo di prendere parte a tattiche più radicali. Non mi è sempre chiaro come tradurre questo prestigio in impatto materiale senza con ciò dilapidarlo, ma vi sono scienziate e scienziati che garantiscono sulla sua importanza nel mettere in atto un cambiamento.

Orientarsi tra i vantaggi e gli svantaggi del conservare la propria rispettabilità è una sfida che riguarda non solo scienziate e scienziati. Questa stessa tensione si è anzi manifestata con chiarezza nel momento in cui il Boycott National Committee, il team organizzativo in gran parte responsabile dell’impostazione del programma politico del movimento BDS, ha emesso un comunicato che scoraggiava il supporto internazionale alla resistenza militante palestinese19. Più di recente, lo stesso comitato ha rilasciato un secondo comunicato in cui faceva marcia indietro e chiariva il proprio sostegno alla resistenza militante. In tutta risposta, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ha rilasciato un proprio comunicato che ribadiva il proprio supporto in termini generali al movimento BDS20. La gestione della rispettabilità si lega anche alla tendenza propria delle organizzazioni mainstream per la Palestina a fare leva sull’immagine dei/delle palestinesi come vittime perenni: la logica che si nasconde dietro a questo appiattimento cinico dell’esistenza palestinese è che, riconoscendo la realtà del fatto che i/le palestinesi muovano al contrattacco – come hanno sempre fatto i popoli oppressi e colonizzati nel corso della storia –, si potrebbe attenuare la solidarietà internazionale verso la loro causa21. Ovviamente il problema di questa narrazione è che coloro che beneficiano maggiormente dalla continua distruzione della Palestina sono in larga misura le stesse persone che hanno il potere di determinare cosa sia rispettabile o meno, motivo per cui le azioni che rimangono entro i confini della rispettabilità sono spesso innocue o inefficaci per via di un preciso disegno politico.

Ad ogni modo, non mi aspetto che ogni scienziata/o entri in rivolta per la Palestina; al contrario, la stragrande maggioranza delle scienziate e degli scienziati non sarà mai disposta ad assumere ruoli che richiedano loro di rinunciare alla propria rispettabilità. Per questo motivo è molto più probabile che a venire ricoperti in modo affidabile siano proprio quei ruoli all’interno del movimento che consentono di mantenere la rispettabilità. Quello che ci manca, insomma, è la disponibilità alla rivolta. Adoperiamoci quindi per costruire una comunità scientifica che onori collettivamente i/le molti/e intellettuali rivoluzionari/e palestinesi – come Ghassan Kanafani, Leila Khaled e Bassel Al Araj – che hanno capito l’importanza di accogliere la militanza nella loro ricerca della verità e della giustizia. E, nel fare ciò, coltiviamo una pratica scientifica che abbracci l’intero spettro dell’esistenza palestinese.


  1. Adam Shapiro, “Our South Africa Moment”, DAWN, 24 marzo 2022. 

  2. Sunlen Serfaty e Ashley Killough, “Bipartisan House Group Introduces anti-BDS Resolution”, CNN, 21 marzo 2019, https://www.cnn.com/2019/03/21/politics/house-anti-bds-resolution/index.html

  3. Kate Huangpu, “Colleges would face financial punishments for boycotting or divesting from Israel under new Pa. law”, WHYY, 21 giugno 2024. 

  4. Mohammed Daraghmeh, “Palestinians Call for Boycott of Israeli Goods”, Associated Press, 11 febbraio 2015, https://apnews.com/general-news-98858aba617a4138bd6a570072f6cd93

  5. Max Boot, “The BDS movement shows its hypocrisy by boycotting Israel and not China”, Washington Post, 18 ottobre 2021. 

  6. Maya Wind, “Towers of Ivory and Steel: How Israeli Universities Deny Palestinian Freedom”, Verso, 2024. 

  7. Maya Wind, “Israel’s Universities Are a Key Part of its Apartheid Regime”, Jacobin, 27 febbraio 2024, https://jacobin.com/2024/02/israel-universities-palestine-apartheid-academia

  8. Ahmed Abbes e Ivar Ekeland, “Technion, incubator of the student soldier elite”, Association des Universitaires pour le Respect du Droit Internationale en Palestine (AURDIP), 6 ottobre 2015, https://aurdip.org/en/technion-incubator-of-the-student/

  9. Abbes e Ekeland, “Technion”. 

  10. Dal sito web di Technion: tra gli obiettivi chiave di Technion vi è quello di colmare “i bisogni e le lacune delle autorità di difesa, delle istituzioni governative, dell’industria della difesa e della sicurezza” e di “dare un contributo alla formazione di ingegneri e scienziati di alto profilo che possano guidare l’IDF”. 

  11. F.W. Lancaster e Lorraine Haricombe, “The Academic Boycott of South Africa: Symbolic Gesture of Effective Agent of Change?”, Perspectives on the Professions, Vol. 15, no. 1, 1995, https://web.archive.org/web/20060626004958/http:/ethics.iit.edu/perspective/pers15_1fall95_2.html

  12. Israel Innovation Authority, 2023 Annual Report: The State of High Tech, 2023. 

  13. Start Up Nation book, https://startupnationbook.com/about/, 31 luglio 2024. 

  14. Umar A Farooq, “‘Math Minus Militarism’: US mathematicians disrupt NSA-sponsored maths convention”, Middle East Eye, 6 gennaio 2023, https://www.middleeasteye.net/news/math-minus-militarism-us-mathematicians-disrupt-nsa-sponsored-math-convention

  15. Moustafa Bayoumi, “Decades of spying and repression: the anti-Palestinian origins of American Islamophobia”, The Guardian, 23 maggio 2024, https://www.theguardian.com/news/article/2024/may/23/islamophobia-us-palestine-history

  16. Jeremy Siegel, “’Simply put, it’s dangerous,’ Jewish nonprofit leader says of The Mapping Project”, GBH News, June 17, 2022, https://www.wgbh.org/news/local/2022-06-17/simply-put-its-dangerous-jewish-nonprofit-leader-says-of-the-mapping-project.; James Jay Carafano, “Massachusett’s Mapping Project’s Unseen Dangers”, The Heritage Foundation, May 17, 2023, https://www.heritage.org/homeland-security/commentary/massachusetts-mapping-projects-unseen-dangers

  17. Rashid Amerzaine e Bernard Flores, “Quantitative power-mapping: a proof of concept in Boston”, Just Mathematics Collective, 6 settembre 2023. 

  18. Drew Faust, “Fossil Fuel Divestment Statement”, office of the president, Harvard University, 3 ottobre 2013, https://www.harvard.edu/president/news-faust/2013/fossil-fuel-divestment-statement/

  19. Palestinian BDS National Committee, “Supporting the student-led solidarity mobilizations in their demands for boycott and divestment and against repression”, BDS Movement, 14 maggio 2024, https://archive.ph/w7vfq

  20. Comunicato stampa del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, 20 maggio 2024, https://hadfnews.ps/post/127584/%C2%A0الجبهة–الشعبية–لتحرير–فلسطين–تثني–على–ما–جاء–في–البيان–الصحفي–الصاد

  21. Andreas Malm, “Standing with the Palestinian resistance: a response to Matan Kaminer”, Verso Blog, 28 maggio 2024, https://www.versobooks.com/blogs/news/standing-with-the-palestinian-resistance-a-response-to-matan-kaminer