Considerando come la scienza è stata praticata negli ultimi quattro secoli, era solo questione di tempo prima che gli scienziati iniziassero a utilizzare l’osannata metodologia quantitativa per misurare il proprio “successo”. Nel 2005, il fisico Jorge Hirsch propose l’h-index per quantificare l’impatto di un autore scientifico[1]. Da allora, l’uso dell’indice si è diffuso in maniera pervasiva — esattamente come successe con l’impact factor per le riviste scientifiche intorno al 1975[2]. Queste ed altre metriche, sempre usate per misurare e confrontare, hanno dominato la vita accademica da quel momento. “Public or perish” ripete il tuo supervisore. Ma non basta, la pubblicazione deve avere un certo impatto. Così, succede che sei all’inizio della tua carriera accademica – alla ricerca di una posizione migliore, un laboratorio di alto livello dove svolgere il postdoc, un’istituzione prestigiosa dove ottenere la cattedra - e ogni due anni circa, la tua produttività, mascherata da impatto, viene valutata e confrontata con quella dei tuoi colleghi.

Una ricetta così univoca per il successo (o per la sopravvivenza) scientifico lascia spazio solo all’accumulo egoistico di meriti, all’ambizione personale e a una competizione serrata in ogni sfera accademica, mettendo in ombra i motivi che ragionevolmente spingono a percorrere la carriera scientifica: la passione per la risoluzione dei problemi, la curiosità verso il mondo, il desiderio di coltivare una creatività innata. La contraddizione che si vive quotidianamente in accademia è questa: come riuscire a fare ricerca con il giusto grado di libertà, non solo a livello di attività e di realizzazione personale, ma anche a livello di preoccupazione per la prossima valutazione e, di conseguenza, a livello materiale?

Se i lavoratori sono coloro che devono lavorare per sopravvivere, come descrive Marx nel Manifesto del Partito Comunista, è evidente che anche gli scienziati sono lavoratori, poiché non hanno la possibilità di “lasciare la scienza” e vivere di rendita. Eppure, per certi versi, un ricercatore in laboratorio è molto diverso da un operaio in una fabbrica di automobili. I lavoratori producono beni o servizi che vengono venduti sul mercato per generare profitti. In laboratorio, invece, si fanno osservazioni ed esperimenti, si producono informazioni e si pubblicano i risultati in articoli, senza che nessuna di queste attività comporti direttamente uno scambio di mercato. Questa distinzione apparente fa pensare che gli scienziati siano al contempo la propria “classe creativa” o “professionale-manageriale”[3]. Tuttavia, per quanto la conoscenza scientifica non sia immediatamente in vendita, la riproduzione della scienza segue la medesima logica di mercato.

È solo collocandoci nel processo di produzione scientifica che possiamo iniziare a riconoscere il nostro ruolo nella società e liberarci quindi dall’illusione di neutralità, virtù e utilità della scienza. Inoltre, cosa più importante, possiamo mettere le basi per lo sforzo collettivo di trasformazione della scienza e della società.

##L’astrazione

L’h-index può sembrare innocuo come stima o punto di partenza iniziale verso metodi più sofisticati per valutare oggettivamente il merito scientifico[4]. Dopotutto viviamo nella “società delle metriche,” in cui ogni qualità dei fenomeni sociali viene ricondotta a quantità sotto forma di punteggi, valutazioni o “mi piace”[5]. Tuttavia, questa prassi sociale non è conseguenza di una maggiore potenza di calcolo o di modalità di analisi innovative, ma è invece il frutto di un processo di astrazione attivo fin dagli albori della modernità. Con l’espansione dei mercati e un crescente dinamismo della società, si è sentito il bisogno di regole generiche per ridurre la complessità a concetti semplici che confermassero le percezioni intuitive. Eppure, un simile approccio epistemologico influenza anche il modo in cui la società si struttura e come gli individui si vedono. Seguendo la logica dell’astrazione si può capire il funzionamento reale della scienza: così come il valore di un acro di terra nella Londra del Cinquecento dipendeva dal numero di pecore allevate e dalla lana venduta sul mercato fiorentino, allo stesso modo il nostro valore come scienziati dipende da imperscrutabili calcoli fuori dalla nostra portata. Dunque, che l’h-index sia correlato ai finanziamenti della ricerca non sorprende più di quanto non lo faccia la correlazione tra estensione di un pascolo e quantità di pecore[6].

È dunque tutto incentrato sui finanziamenti, nella scienza? Alcuni rifiutano di giungere a tale conclusione, altri ci arrivano attraverso contorti eufemismi. In Laboratory Life (1979), il sociologo Bruno Latour osservò che gli scienziati riproducono il proprio lavoro attraverso un “ciclo della credibilità,” poiché la produzione scientifica non è generativa senza 1) finanziamenti per sostenere il laboratorio, basati sulla credibilità dello scienziato e sul merito del progetto, 2) credibilità dei dati e numero di pubblicazioni che alimentino la letteratura scientifica, e 3) validità e influenza delle linee di ricerca per ricevere ulteriori finanziamenti. Di conseguenza, la credibilità è ciò che sorregge la produzione di conoscenza nel laboratorio[7]. Facendo un passo ulteriore rispetto all’astrazione di Latour, si comprende come l’h-index abbia ormai ricompreso gran parte degli elementi del suo “ciclo,” dal prestigio alle credenziali e al riconoscimento, fino ad arrivare ai dati e agli articoli. Tuttavia, né Hirsch né Latour hanno dato un adeguato peso ai finanziamenti e al denaro.

$cienza nel laboratorio

«Ché fra gli uomini cosa non v’ha più trista del denaro: questo perfino le città distrugge, questo discaccia dalla patria gli uomini, questo è maestro che perverte l’anime oneste a compiere opere malvage…” proclamava Sofocle[8]. Nel corso dei secoli, il denaro è sempre apparso come antitetico alla ricerca della bellezza, della verità, dell’arte e della scienza. Ma perfino gli scienziati più finanziati non possono evitare la contabilità e il budgeting nella gestione del proprio laboratorio, e tutti i responsabili, formati in quest’arte da tempo immemorabile, sono versati nell’anatomia monetaria di un bando di ricerca.

Naturalmente, ogni laboratorio spende il denaro in modo diverso a seconda della disciplina specifica e delle aree di ricerca; eppure, tutti condividono una statistica comune: dal 50 al 70 per cento di un finanziamento è destinato alle spese per il personale[9]. Questa percentuale è nettamente superiore rispetto a imprese di pari dimensioni nel settore privato — si pensi, ad esempio, a una startup tecnologica, dove il costo del lavoro si aggira intorno al 30 per cento[10]. Possiamo dunque affermare che la scienza è un’attività ad alta intensità di lavoro.

Inoltre, se il successo di un laboratorio è giudicato in base all’entità dei finanziamenti ottenuti, e se i finanziamenti sono vitali per la sopravvivenza stessa dell’attività scientifica, qualunque sia il modo in cui il denaro venga impiegato, deve essere speso bene, ossia deve esserci un “ritorno sull’investimento”. Il progetto proposto si dovrà tradurre in scoperte di grande impatto, che a loro volta si svilupperanno in nuovi progetti finanziabili. Poiché la ricerca è labour intensive, questo iter — da un finanziamento al successivo — dipende in misura considerevole dalla produttività dei lavoratori nel laboratorio. La produttività, come l’h-index, è quantificabile: “quante x vengono prodotte da y persone in un dato t”[11]. In laboratorio, x è meno tangibile, ma la sua oggettivizzazione e la spinta a incrementare la produttività non sono affatto meno reali. Abbiamo tutti sentito frasi come: «Ho bisogno che questo esperimento (x) sia completato entro la prossima settimana (t)», «dobbiamo sottomettere questo articolo (x) al più presto (t)», «voglio (y) su questo progetto (x) così concludiamo prima della conferenza (t).»

Anche senza considerare che l’ansia da produzione possa sfociare in errori o pratiche non rigorose, la relazione tra denaro e tempo genera ulteriori dinamiche strutturali in laboratorio. Un progetto viene suddiviso e assemblato ripartendo i compiti, operazione spesso agevolata dall’outsourcing e dall’automazione[12]. Ma nonostante gli sforzi del responsabile e collaboratori per tenere in vita i laboratori, la metà di essi chiude nei primi cinque o dieci anni[13]. E per ogni laboratorio che chiude per cattiva gestione o “bassa produttività,” un altro cresce, ottenendo e consolidando una posizione dominante nella scienza[14]. Più che una rapida pubblicazione dei risultati, eserciti di ricercatori o un’organizzazione del lavoro efficiente, ciò che caratterizza un “laboratorio di alto profilo” è la sua capacità di avere il monopolio, non importa che si tratti dell’uso e dello sviluppo delle tecniche più all’avanguardia, della capacità di acquisire attrezzature sofisticate o materiali preziosi, o semplicemente di svolgere ricerca su una scala molto ampia. Per ottenerlo, occorre non solo la forza bruta del denaro, ma anche la capacità di impiegarlo per superare la concorrenza degli altri laboratori.

Tutte queste descrizioni collocano il funzionamento dei laboratori su un piano strutturale paragonabile a quello delle imprese private. Non dobbiamo però affrettarci ad equipararle: presto diverrà chiaro come questo confronto possa costituire un potente strumento analitico — attraverso successivi gradi di astrazione — per comprendere la società nel suo complesso. A tal fine, dobbiamo seguire il denaro.

Scienza nella $ocietà

Nel 2022, il governo degli Stati Uniti ha stanziato 171,3 miliardi di dollari per la scienza e, nell’ultimo decennio, le prime venti università statunitensi hanno speso in media un miliardo di dollari l’anno ciascuna per le proprie attività di ricerca[15]. Un’attività scientifica di tale portata, su scala sociale, è relativamente recente. Per gran parte della storia della scienza occidentale, il denaro destinato alla scienza proveniva dal mecenatismo[16]. Perfino nella Gran Bretagna vittoriana, all’apice della seconda rivoluzione industriale e dell’egemonia britannica nel mondo, il Parlamento destinava alla Royal Society somme davvero esigue[17]. Fu soltanto dopo la Seconda guerra mondiale che lo Stato mobilitò risorse a sostegno della ricerca scientifica[18]. Quindi, la giustificazione del finanziamento alla scienza non riguarda semplicemente la conoscenza o il progresso, poiché la storia ha visto nascere invenzioni rivoluzionarie e sviluppo delle teorie anche in assenza di progetti di ricerca finanziati dal governo.

Possiamo trovare risposte di tipo sociologico in un ricco corpus di studi sul ruolo sociale della scienza, oppure seguire l’astrazione già utilizzata dai decisori politici. Presento qui un esempio tratto da un’analisi sugli obiettivi di ricerca e sviluppo della Svezia[19]. Senza arrivare a definirlo un vero e proprio indice, il modello illustrato di seguito riduce la funzione della ricerca scientifica nella società a una matrice di punteggi. drawing

Questo framework cercava di ampliare i criteri ristretti con cui si valuta il successo della scienza, come il numero di pubblicazioni o l’eventuale generazione di brevetti utili alla commercializzazione. Ma, analogamente al “ciclo della credibilità” di Latour a livello etnologico, la “sperimentazione imprenditoriale”, la “formazione del mercato” e la “mobilitazione di risorse” non sono altro l’altra faccia della medaglia di un calcolo monetario. È interessante notare che le altre categorie — “influenza sulle direzioni future”, “legittimazione (accettazione pubblica)”, “conoscenza” e “sviluppo del capitale sociale” — rispecchiano la riproduzione della forza lavoro (tema della prossima sezione)[20]. Ciò che qui emerge con insistenza è che i laboratori, in realtà, sono collegati al mercato e che gli scienziati, di fatto, mobilitano denaro.

Il governo non si limita a finanziare i laboratori; per ogni dollaro che un laboratorio riceve in fondi esterni, l’istituzione che lo ospita riceve altri 50-90 centesimi[21]. Il tasso è negoziato dall’istituzione, che gode di piena discrezionalità nell’uso di tali fondi; una parte viene impiegata per sostenere strutture di ricerca, amministrazione e personale, mentre un’altra può confluire nei fondi di investimento in crescita. Si tratta di somme enormi[22]. L’Università del Michigan, per esempio, è il quinto maggior datore di lavoro dello Stato e vanta una dotazione di 17 miliardi di dollari (tanto per avere un termine di paragone, quella della Ford Motor Company è di 16 miliardi di dollari). La Columbia University, oltre al proprio fondo, possiede terreni commerciali ed è il settimo più grande proprietario immobiliare di New York City[23]. Queste istituzioni esercitano dunque un potere economico enorme[24].

Noi scienziati, quindi, facciamo transitare denaro dal governo all’università, influenzando al contempo i futuri flussi di fondi, plasmando l’opinione pubblica sulla ricerca, testando infrastrutture per futuri investimenti e creando nuovi mercati. Quando c’è di mezzo il denaro, diventa lampante perché la competizione interna ai singoli laboratori e tra di loro sia così diffusa, perché i tempi e la produttività gravino con tanta pressione sui ricercatori, perché le strutture in laboratorio siano spesso gerarchiche e perché non ci si senta liberi all’interno del laboratorio.

Apparati scientifici ideologici

Essere legati a doppio filo alla più ampia struttura economica mette subito in evidenza alcuni degli aspetti più nefasti della scienza: la ricerca militare — fatta per uccidere — come peccato primordiale del boom scientifico americano, il proseguimento delle ricerche di stampo eugenetico, l’apartheid dei vaccini derivato dalla privatizzazione della ricerca finanziata pubblicamente porti[25]. Più difficile da notare, però, è il ruolo della scienza nel riprodurre l’attuale sistema sociale. Torniamo indietro a Latour e alla “conoscenza” come matrice di impatto della ricerca sulla. Le università non sono solo imprese commerciali; forniscono effettivamente istruzione e trasferiscono conoscenza!

Proprio come il successo individuale o l’impatto sociale, anche la conoscenza e l’educazione possono essere astratte. I test standardizzati e la media dei voti riducono l’educazione e il sapere a quantità misurabili nello stesso modo in cui l’h-index misura il lavoro di uno scienziato. Ancora una volta, l’astrazione ci permette di cogliere la dinamica di qualcosa; in questo caso, non si tratta di denaro, bensì di lavoro. Ricordiamoci che la scienza è labour-intensive: servono nuovi lavoratori da formare, dapprima attraverso il più ampio sistema educativo, poi negli istituti di ricerca e infine attraverso la stessa carriera accademica. Questo ciclo di riproduzione suddivide il laboratorio in compartimenti funzionali distinti — didattica e ricerca, formazione e produzione, tutoraggio e terza missione — che polarizzano in misura crescente i lavoratori all’interno e pongono gli scienziati di fronte a contraddizioni insanabili.

Essere formati per riprodurre il laboratorio tramite il riciclaggio di denaro e lavoro significa diventare uno scienziato “unidimensionale”[26]. Il contenuto della conoscenza scientifica finisce per conformarsi al modus operandi dell’impresa scientifica astratta. Basta considerare il tipo di sapere generato da una divisione del lavoro sempre maggiore. Sempre più specializzati e sotto il regime della produttività, i ricercatori sono formati per osservare il mondo con prospettive sempre più ristrette. Non c’è tempo per rimuginare sul percorso storico, sullo sviluppo sociale o sulle implicazioni politiche della propria ricerca. Al posto di una comprensione più ampia, come delineato finora in questo articolo, subentra una coscienza reificata di scientismo. “Ammirare la natura”, “comprendere l’esistenza umana” o “realizzare il progresso”: queste nozioni romanticizzate non sono di per sé infondate, ma contribuiscono a mistificare la scienza persino agli occhi degli scienziati stessi, fornendo a interessi specifici una giustificazione in termini di costi, benefici ed esternalità. È qui che si radica il concetto di “ideologia”, che costringe gli individui con le armi della coercizione (ovvero, usando la minaccia della disoccupazione) e del consenso fabbricato (ovvero, trasferendo una conoscenza specifica attraverso l’istruzione) — a riprodurre il sistema[27].

Nel ribadire che la scienza è politica, compiamo un primo passo per smascherare il ruolo della scienza nella società. Il passo successivo consiste nel chiederci: come ci poniamo all’interno di essa?

$fruttamento

Finora abbiamo evitato di fare distinzioni tra i diversi ruoli presenti in laboratorio e lo abbiamo trattato come un’unità omogenea nella gestione di denaro e conoscenza. Vi è un certo grado di autonomia in ogni laboratorio, quanto a organizzazione interna: molti laboratori funzionano come piccole imprese, con il responsabile che agisce da “proprietario-gestore” al vertice della gerarchia, mentre a livelli intermedi e inferiori ci sono ruoli definiti in base alla posizione nella carriera accademica. Tuttavia, altri laboratori possono adottare strutture più orizzontali e cooperative. Il budget del laboratorio e l’ambito delle ricerche possono essere stabiliti da una singola persona al vertice, oppure decisi in modo democratico e collettivo. Ciò che qui sostengo è che non sono tanto le relazioni di potere all’interno del laboratorio — che possono o meno riflettere su scala sociale i rapporti di forza — a definire la nostra identità di classe, quanto piuttosto le forze economiche.

Proprio come i lavoratori in senso tradizionale, i quali producono beni e servizi destinati al mercato, anche il lavoro dello scienziato è inserito in un circuito sociale fortemente influenzato, se non completamente mediato, dai soldi. Sebbene osservazioni, dati e articoli non siano in vendita, la loro produzione fa circolare denaro, arricchisce le istituzioni, mantiene la riproduzione sociale e crea nuovi ambiti d’investimento. Marx definiva la classe lavoratrice per il fatto che, attraverso il lavoro, i lavoratori riproducono la propria condizione di lavoratori, non avendo via di fuga, poiché il lavoro è l’unico modo di sopravvivere nella società. Di conseguenza, la classe andrebbe vista come un processo in corso e in relazione[28]. Per esempio, nel XVII secolo, gli artigiani non si consideravano lavoratori; fu solo dal XIX secolo, a fronte della crescente competizione della produzione industriale, che iniziarono a prendere coscienza del processo di polarizzazione di classe. Analogamente, gli scienziati provenivano inizialmente dall’aristocrazia, poi dalla ricca borghesia cittadina e infine dalla classe operaia.

Nondimeno, la differenza formale fra il lavoro in laboratorio e il lavoro in fabbrica influisce sulla coscienza di classe dei ricercatori. Le divergenze geografiche, giuridiche e finanziarie tra le istituzioni accademiche portano gli scienziati a percepire in modi diversi la propria precarietà. Nelle varie discipline scientifiche, ogni scienziato a un diverso livello di carriera può chiedersi se abbia davvero “nessun’altra scelta” se non lavorare. Ricorrono storie di scienziati che vivono di rendita grazie a diritti di proprietà industriale o venture capital: il fatto che siano casi estremamente rari, ma al contempo molto noti, qualcosa dovrà pur dirci sull’ideologia.

Sul piano della percezione, l’esperienza quotidiana in laboratorio incide anche su come gli scienziati comprendono lo sfruttamento[29]. La duplice funzione dei laboratori — come luoghi di formazione e di produzione — complica la questione. L’antagonismo è chiaro fra lavoratori e proprietari; non lo è fra studenti e mentori. Inoltre, poiché l’organizzazione dei laboratori è eterogenea — gerarchica vs. cooperativa, piramidale vs. orizzontale — il ruolo del responsabile risulta ambiguo. Nelle imprese tradizionali, i manager tutelano l’interesse del proprietario; in tal senso non è scontato che i responsabili abbiano necessariamente lo stesso interesse dei rettori universitari. Eppure, pur godendo di autonomia, i responsabili non sono proprietari, perché ciò che “possiedono” non ha alcun valore al di fuori della struttura istituzionale dell’accademia. Una caratteristica importante di un “proprietario” è che esso ha la possibilità di chiudere l’attività e vivere di rendita — scelta che non è disponibile ai lavoratori. Uno scienziato, per quanto eminente, non può vivere di solo h-index.

Infine, ciò che un operaio di fabbrica o un lavoratore dei servizi produce per il datore di lavoro è piuttosto trasparente; la leva contrattuale in una lotta collettiva — ovvero la possibilità di sospendere il lavoro — si traduce direttamente nell’assenza di profitti, un valore quantificabile. Tralasciando le questioni politiche, il tira e molla eterno nella contrattazione lavorativa inizia con una serie di valutazioni finanziarie: quanto profitto si perde se o quando un certo numero di lavoratori scioperano e per quanto tempo, e quanto costerebbe sostituirli a fronte del suddetto sciopero. Ma l’equazione differenziale fra lavoro scientifico e profitto non è lineare. Allo stesso modo, la nostra leva contrattuale come lavoratori differisce da quella legata ai mestieri specializzati, la cui forza negoziale si basa sulla relativa esclusività del sapere tecnico e sull’impossibilità (o mancanza di volontà) da parte del management di sostituire i lavoratori. Le “competenze” scientifiche sono iper-specializzate, specifiche del laboratorio e difficili da generalizzare in un’ottica di contrattazione collettiva. Far leva sulla forza contrattuale di lavoratori di diversi laboratori richiede quindi riflessioni strategiche ulteriori.

Occorre sottolineare che ridurre la scienza ad attività economica non rappresenta la conclusione, bensì la premessa di questa analisi. Se il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale attribuiscono un prezzo alla ricerca di laboratorio, chi siamo noi per discostarci dall’ortodossia della classe dominante?[30] Non si tratta di scartare il contenuto qualitativo della scienza con l’astrazione quantitativa. Dopotutto, i progressi scientifici degli ultimi secoli hanno contribuito enormemente alla comprensione dell’uomo e del rapporto con la natura. Eppure, così come Marx ammirava la modernità per le sue “meraviglie che superano di gran lunga le piramidi egizie, gli acquedotti romani e le cattedrali gotiche,” metteva anche in guardia sulla sua tendenza a “[convertire] l’uomo di scienza in un lavoratore salariato[31]”. Le contraddizioni della vita quotidiana in laboratorio appaiono chiaramente. L’aspirazione a superare la precarietà e il processo stesso di produzione scientifica sono strettamente legati. Da un lato, la pressione a lavorare più a lungo, le retribuzioni basse e il costo della vita elevato, la mancanza di tutele e di sicurezza; dall’altro, la limitazione della libertà creativa, l’erosione dell’integrità metodologica, l’assenza di uno scambio libero e il dubbio valore sociale — corruzione delle anime oneste — si rafforzano a vicenda nella struttura e funzione della scienza accademica e, in senso lato, della nostra società capitalista.


  1. J. E. Hirsch, “An Index to Quantify an Individual’s Scientific Research Output,” Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America 102, no. 46 (November 15, 2005): 16569 72, https://doi.org/10.1073/pnas.0507655102.

  2. Paul Wouters, “Eugene Garfield (1925-2017),” Nature 543, no. 7646 (March 22, 2017): 492, https://doi.org/10.1038/543492a.

  3. Alex Press, “On the Origins of the Professional-Managerial Class: An Interview with Barbara Ehrenreich,” Dissent, October 22, 2019, https://www.dissentmagazine.org/online_articles/on-the-origins-of-the-professional-managerial-class-an-interview-with-barbara-ehrenreich; Richard Florida, “Maps Reveal Where the Creative Class Is Growing,” Bloomberg News, July 9, 2019, https://www.bloomberg.com/news/articles/2019-07-09/maps-reveal-where-the-creative-class-is-growing.

  4. Those arguing against the use of h-index are oftentimes trying to come up with yet another metric. See Vladlen Koltun and David Hafner, “The H-Index Is No Longer an Effective Correlate of Scientific Reputation,” PloS One 16, no. 6 (June 28, 2021): e0253397, https://doi.org/10.1371/journal.pone.025339

  5. See Steffen Mau, The Metric Society: On the Quantification of the Social (John Wiley & Sons, 2019).

  6. Smita Saraykar, Ayman Saleh, and Salih Selek, “The Association Between NIMH Funding and H-Index in Psychiatry,” Academic Psychiatry: The Journal of the American Association of Directors of Psychiatric Residency Training and the Association for Academic Psychiatry 41, no. 4 (August 2017): 455–59, https://doi.org/10.1007/s40596-016-0654-4; P. S. Pagel and J. A. Hudetz, “H-Index Is a Sensitive Indicator of Academic Activity in Highly Productive Anaesthesiologists: Results of a Bibliometric Analysis,” Acta Anaesthesiologica Scandinavica 55, no. 9 (October 2011): 1085–89, https://doi.org/10.1111/j.1399-6576.2011.02508.x; Issa Rezek, Robert J. McDonald, and David F. Kallmes, “Is the H-Index Predictive of Greater NIH Funding Success among Academic Radiologists?,” Academic Radiology 18, no. 11 (November 2011): 1337–40, https://doi.org/10.1016/j.acra.2011.06.017.

  7. Bru_no Latour and Steve Woolgar, Laboratory Life: The Construction of Scientific Facts (Princeton University_ Press, 2013): 201.

  8. Sophocles, Antigone (New York: Dover Publications, 1993).

  9. For an example of a research budget, see “Grant Budget Calculation Information,” University of Florida, accessed June 5, 2022, https://psych.ufl.edu/info-forms/grants/psychology-grant-budget-calculation-information/; “Create a Budget,” National Institutes of Health, accessed July 2, 2022, https://www.niaid.nih.gov/grants-contracts/create-budget.

  10. Wasim Jabbar, “How Much Money Does A Tech Startup Need?,” Business Data List, April 11, 2022 https://businessdatalist.com/how-much-money-does-a-tech-startup-need/.

  11. Giovanni Abramo and Ciriaco Andrea D’Angelo, “How Do You Define and Measure Research Productivity?,” Scientometrics 101, no. 2 (November 1, 2014): 1129–44, https://doi.org/10.1007/s11192-014-1269-8.

  12. Erika Check Hayden, “The Automated Lab,” Nature 516, no. 7529 (December 4, 2014): 131–32, https://doi.org/10.1038/516131a; Beryl Lieff Benderly, “Outsourcing, Coming Soon to a Lab Near You,” Science, September 7, 2016, https://doi.org/10.1126/science.caredit.a1600127; James Boyd, “Robotic Laboratory Automation,” Science 295, no. 5554 (2002): 517-8, https://doi.org/10.1126/science.295.5554.517; Sarah Moore, “Future of Lab Automation,” AZO Life Sciences, March 20, 2022, https://www.azolifesciences.com/article/Future-of-Lab-Automation.aspx.

  13. Sally Rockey, “Retention Rates for First-Time R01 Awardees,” NIH extramural NEXUS, October 28, 2014, https://nexus.od.nih.gov/all/2014/10/28/retention-of-first-time-r01-awardees/.

  14. See Alexander M. Petersen et al., “Quantitative and Empirical Demonstration of the Matthew Effect in a Study of Career Longevity,” Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America 108, no. 1 (January 4, 2011): 18–23, https://doi.org/10.1073/pnas.1016733108; Thijs Bol, Mathijs de Vaan, and Arnout van de Rijt, “The Matthew Effect in Science Funding,” Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America 115, no. 19 (May 8, 2018): 4887–90, https://doi.org/10.1073/pnas.1719557115.

  15. U.S. Library of Congress, Congressional Research Service, Federal Research and Development (R&D) Funding: FY2022, by John F. Sargent Jr., R46869(2022), 3, https://sgp.fas.org/crs/misc/R46869.pdf; “Ranking by Total R&D Expenditures,” National Science Foundation, accessed April 1, 2022, https://ncsesdata.nsf.gov/profiles/site?method=rankingbysource&ds=herd.

  16. Vera Keller, “Before Nobels: Gifts to and from Rich Patrons Were Early Science’s Currency,” The Conversation, October 4, 2016, http://theconversation.com/before-nobels-gifts-to-and-from-rich-patrons-were-early-sciences-currency-66360.

  17. Roy M. Macleod, “The Support of Victorian Science: The Endowment of Research Movement in Great Britain, 1868–1900,” Minerva, 1971, https://www.jstor.org/stable/41822100.

  18. It is not a coincidence that the Second World War is a watershed moment in science funding. The post-War economic boom—and in effect, scientific boom—is intricately linked to military expenditure and the economic system of large-scale production and consumption. See Calvin Wu, “Socialize the Lab,” Science for the People, September 15, 2021, https://magazine.scienceforthepeople.org/online/socialize-the-lab/.

  19. Staffan Jacobsson and Eugenia Perez Vico, “Towards a Systemic Framework for Capturing and Explaining the Effects of Academic R&D,” Technology Analysis & Strategic Management 22, no. 7 (October 1, 2010): 765–87, https://doi.org/10.1080/09537325.2010.511140; Staffan Jacobsson, Eugenia Perez Vico, and Hans Hellsmark, “The Many Ways of Academic Researchers: How Is Science Made Useful?,” Science & Public Policy 41, no. 5 (January 3, 2014): 641–57, https://doi.org/10.1093/scipol/sct088.

  20. Lo “sviluppo del capitale sociale” consiste essenzialmente nel mantenimento del mercato del lavoro, a cui in futuro si potrà attingere per nuovi investimenti.

  21. Heidi Ledford, “Indirect Costs: Keeping the Lights on,” Nature 515, no. 7527 (November 20, 2014): 326–29, https://doi.org/10.1038/515326a; “Indirect Cost Rate Survey,” Datahound, May 10, 2014, https://datahound.scientopia.org/2014/05/10/indirect-cost-rate-survey/.

  22. “Endowments,” Fast Facts, National Center for Educational Statistics, accessed April 1, 2022, https://nces.ed.gov/fastfacts/display.asp?id=73.

  23. “Ivy League Universities or Real Estate Kings?,” Reonomy, May 1, 2020, https://www.reonomy.com/blog/post/ivy-league-universities-or-real-estate-kings.

  24. Con questi soldi in gioco, diventa evidente perché le campagne di disinvestimento dai combustibili fossili procedano a un ritmo glaciale.Inizio modulo

    Fine modulo

  25. Ed Romano and Grace Huckins, “Racism and Repair: Science Under White Supremacy,” Science for the People 23, no. 3 (Winter 2020): 65–69, https://magazine.scienceforthepeople.org/vol23-3-bio-politics/racism-repair-science-white-supremacy/; Clifford D. Conner, The Tragedy of American Science: From Truman to Trump (New York: Haymarket, 2020); Winnie Byanyima, “A Global Vaccine Apartheid is Unfolding. People’s Lives Must Come Before Profit,” The Guardian, January 29, 2021, https://www.theguardian.com/global-development/2021/jan/29/a-global-vaccine-apartheid-is-unfolding-peoples-lives-must-come-before-profit.

  26. A “one-dimensional man” is an individual integrated into the capitalist society under various forms of social control, resulting in conformity of thoughts and behaviors. See Herbert Marcuse, One-Dimensional Man: Studies in the Ideology of Advanced Industrial Society (Boston: Beacon Press, 1964).

  27. Valeriano Ramos, Jr., “The Concepts of Ideology, Hegemony, and Organic Intellectuals in Gramsci’s Marxism,” Theoretical Review 27 (March–April 1982), https://www.marxists.org/history/erol/periodicals/theoretical-review/1982301.htm.

  28. Karl Marx, Capital: Volume One (New York: Penguin Books, 1976), 799.

  29. Qui il termine “sfruttamento” è usato in senso psicologico e non in senso economico.

  30. World Bank, “Innovating through Science and Technology,” World Development Report 2008: Agriculture for Development (October 2007), https://elibrary.worldbank.org/doi/abs/10.1596/978-0-8213-6807-7_ch7; Philip Barrett et al.,“Why Basic Science Matters for Economic Growth,” IMF Blog, October 6, 2021, https://blogs.imf.org/2021/10/06/why-basic-science-matters-for-economic-growth/.

  31. Karl Marx and Frederick Engels, The Communist Manifesto (New York: International Publishers, 1948), 11.